Dalla Redazione di D’Architectures, Parigi:

UN CONCORSO DI ARCHITETTURA! PER FARE COSA ?

Per natura i concorsi suscitano comportamenti che ne fanno un piccolo teatro delle vanità. Chi li organizza può però ambire a più alti obiettivi. Questo è il fine che ci ha animato fin dall’inizio per l’istituzione avvenuta lo scorso anno del Prix D’Architectures 10 + 1 e speriamo che questa seconda edizione, i cui vincitori hanno ricevuto il loro riconoscimento il 17 settembre 2020 al Centre Georges-Pompidou, rafforzerà ulteriormente la sua legittimità.

Per mesi abbiamo trascorso intere giornate a visitare edifici e ore a discutere: il tempo di una giuria, in più fasi, deve essere soprattutto quello della riflessione e della messa in discussione dei propri giudizi. Composta da critici o giornalisti spesso autori di D’A, la giuria del Prix D’Architectures 10 + 1 riunisce punti di vista molto divergenti,  a volte opposti.

Al di là dei criteri base sui quali il consenso è unanime – qualità d’uso, rigore costruttivo, dialogo proficuo con il sito, aderenza al budget, ecc. – alcuni prediligono il virtuosismo spaziale, altri il modo in cui i progetti mettono in discussione la disciplina inserendoli nel suo continuum storico, altri ancora si interrogano sulla loro capacità di svolgere un ruolo sociale o di rispondere agli sconvolgimenti delle condizioni di produzione, sia che si tratti dell’inesorabile declino del know-how delle aziende o l’alta tecnicità digitale che ormai è essenziale.

La maggior parte dei risultati selezionati sono già stati oggetto di un esame critico sulle pagine di D’Architectures. Ma anche imponendosi il massimo dell’obiettività, i loro autori analizzano i progetti secondo la propria griglia di lettura. La giuria offre quindi una nuova opportunità per confrontarsi e rimescolare le carte. Al di là delle differenze di opinione individuali, ciò che i dibattiti cercano di far emergere sono i progetti che producono veramente un momento  di cultura architettonica.

Può sembrare provocatorio, ma i progetti premiati non sono necessariamente i “migliori edifici” per la giuria. Ci sono molti risultati notevoli in Francia, realizzati con rigore, rispondenti alle esigenze e agli usi ai quali sono destinati. Le realizzazioni selezionate hanno ovviamente tutte queste qualità, ma ciò che li ha distinti è stata la loro capacità di muovere le linee, di metterci in discussione tanto come architetti quanto come critici. È anche la loro capacità di rispondere a questioni per le quali le pratiche correnti non sembrano offrire soluzioni sufficientemente rilevanti.

André Tavares, presidente della nostra giuria lo scorso anno, ha scritto giustamente che “il premio forma un triangolo tra pubblico, critica e produzione architettonica, e questa triangolazione, garantendo movimento intellettuale, attiva la dinamica delle idee… “forme, tecniche e pensiero”.

I progetti scelti possono essere di natura estremamente diversificata in termini di incarico, dimensione o budget, ma anche in termini di estetica. Quest’anno, ad esempio, sono state premiate quattro operazioni di housing sociale, ognuna molto diversa eppure innovativa a modo suo, sia rompendo le convenzioni del modello dominante (Sophie Delhay) sia reinterpretando completamente un modello trascurato (Abinal & Ropars). Ma per questo premio 2020, abbiamo voluto sottolineare quella che ci sembra essere una delle maggiori sfide da affrontare: è ancora possibile arginare l’inesorabile degrado delle aree rurali, da tempo completamente abbandonate dall’architettura?  Questa distruzione, spesso irreversibile, è un disastro tanto dal punto di vista patrimoniale quanto economico.

Per fortuna una nuova generazione di architetti ha avuto il coraggio di interessarsene, di soddisfare un ordine che dovevano inventare o creare, dove nessuno se lo aspettava. La trasformazione di un fienile abbandonato in una panetteria nel centro di un piccolo villaggio della Mosella da parte dello studio Gens è perfettamente emblematica di questa lotta, ma è l’Atelier du Rouget, guidato da Simon Teyssou, che è senza dubbio la figura principale di questo rinnovamento. Un lento e paziente lavoro di acculturazione degli assessori locali, un’architettura tanto abile quanto rigorosa e l’attuazione di pratiche virtuose in particolare nell’uso dei materiali locali le hanno permesso di realizzare operazioni esemplari, come lo sviluppo di Mandailles-Saint -Julien per il quale è stato insignito del Grand Prix d’Architectures 2020.

Quindi, se questo premio potesse suscitare vocazioni e sensibilizzare anche territori rurali che potrebbero essere salvati attraverso l’architettura, la nostra ambizione non sarà stata vana.

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